La cannabis, come molte altre piante, non è uguale in tutto il mondo. Esistono infatti delle varietà spontanee, presenti in natura, e tantissime cultivar create dall’uomo. Secondo il codice internazionale di nomenclatura per le piante coltivate (CINPC), le varietà di una pianta ottenute artificialmente attraverso ibridazione si chiamano “cultivar”. Perciò quando parliamo della cannabis ci riferiamo spesso, con il termine varietà, alle cultivar.
Partiamo però dalle varietà naturali, che costituiscono la base di tutte le ibridazioni. Secondo gli esperti, la cannabis avrebbe tre sottospecie: la sativa, l’indica e la ruderalis.
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La cannabis sativa è stata la prima a essere classificata da Linneo, il padre della tassonomia naturale, nel 1753. All’epoca era la canapa più coltivata in Europa.
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La cannabis indica, come dice il nome, è una varietà proveniente dall’India ed è stata proposta come “specie” autonoma da Jean-Baptiste Lamarck nel 1785.
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La cannabis ruderalis è originaria della Russia e fu descritta per la prima volta nel 1924. La sua particolarità sta nel fatto che fiorisce non in base alla luce, ma in base all’età della pianta.
Queste sono le tre varietà naturali della cannabis, ma l’erba che si può trovare in commercio è praticamente sempre un cultivar che mescola le loro caratteristiche. Ad esempio le famose autofiorenti nascono da un mix tra sativa, indica e ruderalis: mentre le prime due varietà fioriscono in base al fotoperiodo, la terza ha una fioritura “automatica”, caratteristica che è stata premiata nell’ibridazione.
Dato che la cannabis è spesso fatta crescere a scopi commerciali, i coltivatori cercano di mescolare le varietà naturali per ottenere la miglior resa in termini di fioritura rapida e abbondante, contenuto elevato o assente di THC o CBD, sapore, resistenza ai parassiti, ecc. Una volta che un cultivar interessante è stato trovato, vengono adottate speciali tecniche per conservare intatte le sue caratteristiche e riprodurre la pianta “all’infinito”.
Infine, negli ultimi anni, anche nel mercato della cannabis è entrata l’ingegneria genetica. Una combinazione di tecniche innovative permette così di selezionare delle “super varietà” in modo sempre più ardito.
Le varietà principali e più famose, l’indica e la sativa, hanno caratteristiche peculiari che entrano spesso in gioco nell’inbridazione. Le piante di indica, ad esempio, fioriscono più rapidamente, mentre le sativa sono più grandi. In termini di effetti, la varietà indica è famosa per il suo effetto rilassante che può addirittura diventare soporifero, mentre la sativa è più attivante, non dà sonnolenza ed ha anzi effetti energizzanti. L’erba in commercio raramente è di pura indica o sativa e quindi le abitudini di crescita, le dimensioni, la fioritura, il colore e gli effetti cambiano sensibilmente.
Le esperienze di ibridazione della cannabis sono veramente andate lontano: in commercio esistono cultivar di semi che promettono una elevata resistenza alle muffe, per chi vive in luoghi umidi, cultivar che “non sembrano cannabis” per il giardinaggio outdoor in Paesi proibizionisti, cultivar con altissimo o nullo contenuto di THC, e così via. L’esperienza di coltivazione e consumo della cannabis, oggi, è sempre più personalizzabile.